Recensione XXI edizione Festival della Drammaturgia Italiana.




XXI edizione Festival della Drammaturgia Italiana.
Atti unici, corti teatrali e monologhi a schegge d’autore.

Due settimane sul palcoscenico del Teatro Tordinona Roma. 

Questo pregevole festival teatrale di Schegge d’autore creato e diretto da Renato Giordano,   che amalgama esistenziali destini “incrociati”,  sembra possa edificare un ideale lessico teatrale scenico, attraverso la verifica  di diversificati   corti teatrali  da sperimentare sul palcoscenico. 

 Queste serate di teatro, programmate con mesi di anticipo, stanno coincidendo - in questo momento storico - senza un vero e proprio orizzonte di Pace, perché Immersi nelle assillanti ripetitive notizie dei Media, viviamo giornate ansiogene, tra raid di guerra mediorientale e speranza collettiva di pace. 

Al momento la comunità internazionale  spera sulla efficacia di una diplomazia indaffarata in una febbrile proposta, foriera di cauto ottimismo, per una momentanea tregua. 

In questo frangente coloro che si occupano di teatro, per quello che possono intuire, dal nostro presente di oggi in una “memoria tra passato e futuro” si adoperano, con i mezzi della scrittura, di pervenire ad un obiettivo grandangolare multiculturale attraverso una “trascrizione sociale” tendente a monitorare gli eventi a noi più vicini.  

Apre questo festival un breve corto di 6 minuti IL Pappagallo Testo e regia di Massimiliano Perotta. Un vagito ripetuto trasmette alla platea come i bambini, sono carne viva, sono loro che ci consentono, a noi adulti, di resistere alle emozioni, agli accadimenti… sono loro che aprono uno spazio di protezione nel quale genitori e nonni possano stare sereni, senza nessuno che li spinga verso il baratro annunciato dell’estinzione umana. L’azione scenica, tradotta in sintesi, allestisce la fragilità umana nel debole vagito di un nipotino nel periodo della vita che precede negli anni a venire l’età adulta.

Il mio mondo dentro. Testo e regia di Alessandro Iori, monologo con Laura Ranghi. E’ un testo che scuote e commuove perché si interroga sullo sconforto che si fa disperazione. Una donna condannata all’ergastolo per l’omicidio del marito e della figlia ripensa dal carcere alla sua triste storia. L’attrice, con afflizione di un dolore profondo, presentifica scenicamente sbarre e cancelli da attraversare per sopravvivere e sentirsi ancora viva, per ripensare al proprio vissuto. Più che i tempi smisurati dell’ergastolo emerge la solitudine d’una mente dilaniata dalla carcerazione perpetua. Questo teatro di impegno civile non enuncia teorie, ma suggerisce una domanda: << Può la detenzione a vita contraddire il Dettato Costituzionale del valore riabilitativo della pena? >>

Quella settimana di settembre. Testo surreale di Salvatore Scirè regista con La passione di raccontare storie d’impegno civile, storia utile per affrontare le ragioni più profonde della   rinascita italiana, attraverso la realizzazione di un corto di natura pedagogica. L’ interpreta Pierre Bresolin ricostruendo la figura del prof. Raffaele Persichetti giovane membro del Partito d’Azione, che dopo  81 anni, oggi torna ripresentificandosi agli studenti per raccontare quello che accadde in quel fatidico 8-10 settembre 1943; quando decise di andare a Porta San Paolo, per difendere Roma dalle truppe tedesche, cosciente dei rischi fatali cui andava incontro. Prode fra i prodi incitò con la parola e con l'esempio i commilitoni all'estrema resistenza fino a che colpito a morte immolava la sua giovane vita nella visione della Patria rinata alla libertà. 


Il ritorno di Pulcinella, Testo e Regia di Renato Giordano, con Nunzia Plastino nel ruolo di Colombina e lo stesso Renato Giordano nel Ruolo del suo metamorfico Pulcinella,  che dalla tradizione arriva alla drammaturgia contemporanea. Giordano l’interpreta amplificando le molteplici espressioni meticce di questa allegorica misteriosa maschera   potenziandone l’espressività attraverso la gestualità sfrontata con spudorato fraseggio recitativo stridulo e chioccio, inventa strampalate bugie e intrighi, che racconta a Colombina, per scusarsi della prolungata assenza. Colombina nel ruolo di amante gelosa tende a giocare con lui, ora lasciandosi corteggiare, ora manipolandolo per ottenere qualcosa;  qui al centro delle sue avances amorose lo asseconda, e grazie alla sua astuzia e maliziosa agilità mentale riesce a gestire la situazione a suo vantaggio. Ne viene fuori un dualismo scenico esilarante che sotto molti aspetti rispecchia la nostra cultura romanesca. Questo Pulcinella ulteriormente rivisitato da Giordano presenta una ricchezza di espressioni e modi di dire romaneschi decisamente notevoli. Il progetto ambizioso è quello di recuperare Il Pulcinella, discendente dal “Maccus” delle Fabulae Atellane romane dell’Antica Roma, innescandolo nello Zanni, e ulteriormente metamorfizzato, italianizzato, nelle maschere novecentesche di stralunati/ sfaccettati Pulcinella dell’iconografia teatrale del novecento. Archetipo adesso riattualizzato e interpretato in chiave di farsa affabulatoria nel vasto immaginario teatro metropolitano,  promotore del possibile cambiamento in meglio,  di una, ormai prolungata  condizione  di crisi sociale. 



Maya Plisetskaya Il Cigno Bianco. Il testo con interpretazione e regia di Natalia Simonova, ricostruisce un corto teatrale pregevole come omaggio alla vastità sfaccettata di Maya Plisetskaya figura leggendaria e magnifica étoile al Bolshoi di Mosca nel periodo storico delle spietate “purghe staliniane”.  Un omaggio alla vastità della diva della Danza di cui Natalia ripropone in scena sia il racconto esistenziale della Plisetskaya  sia i potenziali  strumenti della danza classica, o balletto.  La  Simonova mentre racconta le vicissitudini e le glorie ballettistiche di quel periodo,  ripropone in scena forme di movimento di grande padronanza tecnica e artistica. In questa  polisemica performance  l’autrice attrice coinvolge il posizionamento delle braccia e delle gambe in un modo specifico e preciso. Le braccia e le mani roteano fluenti in una forma ovale, e le agili  gambe riescono con grazia espressiva  a raffigurare i potenziali segreti di cui il corpo che danza diventa portatore di contemplazione.  Questo insieme di racconto, musica e danza restituisce una dinamica timbrica del sinfonismo con una prerogativa di effetti inediti tra due piani semantici quello della realtà scenica e quello del sogno danzato  desunte proprio dalla memoria del balletto. Per cui il pregio di questo adattamento sta tutto in questa costruzione coreografica, che raccontando Maya Plisetskaya, delinea con grazia il suo testamento artistico.


Vincenzo Sanfilippo. 
















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