NOSTRADAMUS

di Raffaele Aufiero - Roma, Novembre 2003







NOSTRADAMUS di Doc Comparato, regia di Antonio Serrano
E’ uno spettacolo che si distingue subito per interesse storico e spessore culturale questo Nostrdamus di Doc Comparato messo in scena dalla compagnia Motori Teatrali con la regia di Antonio Serrano.
Vorrebbe essere una biografia del celebre medico-mago Michel de Notredam, ma è qualcosa di più: è lo scavo psicologico dell’animo tormentato e dell’intelligenza brillante di Michel, uomo del suo tempo ma vissuto contro il suo tempo.
E questo aspetto è reso molto bene nella prima parte dello spettacolo dove il conflitto tra l’uomo e la Storia è ben evidente e si muove con passi certi e accorti che conducono Michel dall’ansia di sapere (che lo induce ad impossessarsi di un libro allora all’indice, De Mysteriis Egiptorum) alle soglie del tormento dell’inquisizione per mano di un vescovo, quel Narbonne, che aspirava al soglio pontificio e che non avrebbe mai perdonato a Nostradamus di aver individuato in un frate (insieme al quale si era recato al suo studio medico) il futuro Sisto V.
E qui il personaggio divide la sua amara biografia con quella di Giordano Bruno.
Nel secondo tempo invece ci si sarebbe aspettato un ribaltamento della dimensione drammaturgica che avesse invece visto la Storia, la "civiltà" dell’inquisizione e della controriforma, contro Michel, cioè ci saremmo aspettati che i personaggi prima nell’ombra, quasi un correlato dell’azione del protagonista dominus scenae, uscissero e occupassero l’evidenza del contrasto, di quelli che in fondo poi fanno la Storia e mortificano l’intelligenza del singolo, e quindi avremmo visto volentieri un’azione più distesa, meno di scorcio, interessare Caterina de Medici e lo stesso papa Sisto V; mentre ancora maggiore valenza drammaturgica avrebbero potuto avere altri personaggi come la moglie Sabina, non certo irrilevante ai fini della legittimazione psicologica del profilo del protagonista.
Michel, in questo secondo tempo, ancora troppo monologante soffoca gli altri personaggi e monopolizza un’attenzione già abbondantemente elargita dallo spettatore che intuisce, se non la conosce già, la vicenda, i ripieghi e la conclusione, mentre invece andava condotto con intelligenza non giudicante ma riflessiva alle suggestioni di un’atmosfera, verso la ricostruzione di un’epoca, se non proprio di un mondo (ché la scarsità dei mezzi e l’essenzialità della scenografia l’avrebbero impedito), piuttosto che di un appagamento biografico che rispondesse alle esigenze di una dimostrazione teorematica.
Il teatro non è solo geometria, infatti, è anche scarto, bizzarra evoluzione della storia dei personaggi, estrosa ricostruzione di impianti epocali e fascinosa ricostruzione di psicologie e di emozioni.
Bene, per quanto ridotti ad una ristretta partecipazione all’evento Gioacchino Maniscalco (Sisto V), Gianna Paola Scaffidi (Sabina) e lo stesso Antonio Serrano (Narbonne). La regia lucida ed essenziale poi dello stesso Serrano ha violato la dimensione storica dell’impianto por accentuarne l’impatto drammatico.
Raffaele Aufiero, novembre 2003
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