Moby Dick da Melville di Federico Bellini

Moby Dick

La ricerca di un qualcosa al di fuori di noi, ma che percepiamo connesso al nostro essere. La ricerca dell’impossibile, di uno spettrale e lontanissimo obiettivo. Questo, ciò che si propone l’Achab/Albertazzi nell’elaborazione drammaturgica di Federico Bellini.
L’apertura dell’arco scenico, chiuso da quinte mobili e nere, dà il via allo spettacolo accompagnato dall’ingresso di Ismaele che ricorda le sue avventure per mare e il suo rapporto con il Capitano Achab.
Le onde create da movimenti del grande telo nero sul palcoscenico lasciano il posto all’equipaggio che prende posto negli spazi dell’interno stilizzato della nave. Albertazzi, con parsimonia quantitativa di battute, interpreta il celebre capitano melvilliano, che sempre più stanco nel fisico e nell’animo tenta da sempre di rincorrere l’oggetto della caccia. Sempre più spesso, i suoni delle balene ne rappresentano la presenta sul placo e gli occhi di Moby Dick, giungono attraverso due veri e propri fari, ad illuminare il pubblico, cercando di assaltare di sorpresa l’equipaggio. Ma, ogni volta che si avvicina la fine della caccia e la morte del “Leviatano” (terrifico mostro annunciato dalla Bibbia, in questo caso la balena Moby Dick), subito questa scompare lasciando sconforto, stanchezza e desiderio di pace sotto l’occhio onnisciente del narratore Ismaele.
Il proseguire incerto delle ascese e discese di Achab/Albertazzi dagli scalini che collegano il ponte con la sua cabina, sembrano corrispondere la vacillante attenzione del pubblico.
Dopo l’apprezzabile richiamo di Dante con il linguaggio dei segni, segue un amletico e belliniano monologo dall’effetto soporifero con il quale, Achab/Albertazzi rende omaggio a Shakespeare. La chiusura dell’arco scenico, con movimento speculare rispetto al principio dello spettacolo, lascia intendere la conclusione della rappresentazione.
Tuttavia, concluso il monologo e spente le luci, l’applauso non parte. Ignoro se il pubblico sia ancora assopito o sia rapito dall’interpretazione, ma riaccese le luci Albertazzi esclama verso il pubblico quasi rimproverandolo: “Veramente sarebbe finito” (lo spettacolo). Non gli è stato offerto il suo ossigeno: l’eterno, spontaneo e forse immeritato applauso.

Emanuele Truffa Giachet
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