Schegge d'Autore 2011




di Vincenzo Sanfilippo, ottobre 2012






SCHEGGE D’AUTORE XI FESTIVAL DELLA DRAMMATURGIA ITALIANA.

Direzione Artistica: Renato Giordano. “corti teatrali, atti unici e monologhi” dedicato a Mario Angelo Ponchia e a Mario Scaccia

Patrocinio dell' Ente Nazionale di Previdenza e di Assistenza per i Lavoratori dello Spettacolo e dello Sport Professionistico -Fondo PSMSAD

1) Liliana Paganini “Il Problema “ con regia di Gabriele Tozzi e interprete Cristina Fondi, racconta di una madre “castratrice” che ha trasferito tutte le sue fisime culturali e sociali alto borghesi sulla propria figlia, colpevole di averle posto un problema da risolvere: essersi portata dentro casa “a convivere” un bellimbusto senza arte né parte. Il monologo è strutturato attraverso un dialogo con un’amica “invisibile” a cui Cristina Fondi si rivolge con i ritmi di una angoscia avvolgente non priva di humour. L’epilogo per la risoluzione del “Problema” è allegorico quanto simbolicamente cruento. Le parole illuminano l’angolo buio della stanza da letto dove giacciono assopiti i due amanti; e il racconto minuzioso dell’evirazione che l’uomo subisce vorrebbe essere paragonato alla decapitazione di Giovanni Battista richiesta da Salomè. Ma l’ardua associazione sembra una citazione “appiccicata”. Per il semplice motivo che la vittima non ha la statura del profeta Battista. Nel testo invece è evidente la spiccata pulsione “freudiana” d’una psicologia femminile in perenne conflitto con l’invidia del pene. L’autrice, Diplomata in pittura presso l’accademia di belle Arti di Roma, si è Laureata al D.A.M.S. di Palermo nella specialistica dello spettacolo multimediale.

2) Virginia Garau “Just married” Un interessante allestimento interpretato dalla stessa autrice e da Francesca Gara, Daniela Melis, Caterina Peddis e Carmen Porcu, regia di Marco Nateri. Trattasi d’una commedia musicale che evidenzia un importante spaccato storico-sociale che va dagli anni ’40 al 2000, per noi è ormai diventato “il secolo scorso”. Attraverso la riproposta di un mondo al femminile ormai d’epoca ( come la corsa d’Italia vinta da Girardenco e Coppi, i romanzi di Palazzeschi, la pubblicità della ditta Carlo Erba, le musiche di Kramer, le canzoni “ma dove Vai Bellezza in Bicicletta” e “il Pesce e l’uccellino”) la regia evidenzia una recitazione “schizzata” degli attori singolarmente sfaccettati nelle loro differenti grottesche psicologie; come nella costruzione coreografica dei movimenti gestuali di portamento e abbigliamento, godibile soprattutto nei giravolti di espressive pantomime ben costruite e ispirate alla grande tradizione del teatro regionale italiano. Al centro scena una giovane donna che danza nel fruscio del suo abito da sposa, attorniata assillata, manipolata mentalmente da figure familiari anch’esse “castratrici”: una mamma apprensiva, una nonna libertina, una zia zitella e bigotta, un’amica invidiosa. Uno spettacolo formato-famiglia come teatro dell’inganno e delle sopraffazioni morali, sede sinistra della truffa che conduce all’omologazione arcaica di tipo feudale della proprietà e degli affetti.

3) Anna Cantagallo “il Tagliando”, con Francesco Maria Cordella, Angelo De Angelis, Carlotta Mancini, regia di Teresa Cordaro. Il lavoro utilizza un tema tipico della letteratura fantascientifica, che da sempre, ha cercato di anticipare le trasformazioni del rapporto tra scienza, tecnologia ed esseri umani, evocando il terrore e l'euforia che questi repentini ed inarrestabili mutamenti portano con sé, ambientando e abbigliando gli attori in un futuro per noi lontano, nel 3023. A lavorare sono gli anziani. I giovani potranno lavorare solo dopo aver conosciuto il mondo dall’interno della loro capsula. In scena dunque attori apparentemente attempati in tuta spaziale bianca che cercano in tutti i modi di superare “il Tagliando” che attesti la loro inossidabilità fisica e mentale: percezione della profondità visiva, pressione sanguigna, riflessi cognitivi eccellenti, per continuare ad avere i requisiti preferenziali a rimanere ai posti di comando. Come si può intuire, è una critica sulla gerontocrazia di un potere costituito, detenuto e gestito con autorevolezza dagli anziani e che è destinato a perpetuarsi anche in futuro. Su “l’ultima spiaggia” della vita che gli uomini ambiscono a perpetuare con stratagemmi faustiani parascientifici, toccherà certamente alla risata l’ultimo pizzico di buon sangue possibile. Apprezzabile lo stile registico di questo spettacolo rarefatto e “disinfettato”, con personaggi surreali che, anche se privati di sentimenti, cercano nel gesto furtivo di una innocente carezza una felicità umana per loro impossibile. Sono questi a nostro parere gli elementi conduttori d’una tragicomicità patetica/poetica alla Chaplin.

4) Paolo Valentini “E così”. Giornalista impegnato nella narrativa e nel teatro, partecipa alla rassegna mettendo in scena una febbricitante commistione linguistica di recitativi ( con inserti cult che contengono nella composizione scritturale un creativo quanto farneticante scilinguagnolo) intercalati dall’incessante duetto di saxofono e percussioni dove il registro ritmico, cioè il suono “ significante” miscelato alle doti di espressività recitativa del “ significato” ( che qui è recitato con i crismi del non-senso neurologico) acquistano un ruolo di rilievo in un crescendo corpo di spettacolo di prosa con musica jazz da camera. Il risultato è gradevole e restituisce le indicazioni di “stati normali di euforia del testo”, come suggerisce l’autore che fa tesoro della lezione buzzatiana simile ad una stratificata pittura informale per coloriture di situazioni fuori dal comune e però affatto verosimili; parodia di eventi, anche strani, finalizzati dallo scrittore a restituire valore di senso. La complessità delle citazioni testuali insite nella stesura del lavoro si infittiscono “nell’euforia del nulla” di Robert Walser, scrittore tedesco che ama demolire i metodi tradizionali di composizione letteraria, per il suo modo di trattare i temi. Nell’allestimento coesistono anche diversificati, corrosive riproposte lessicali e stilistiche di un teatro d’avanguardia rivisitato come modernariato. Il risultato è un rilancio di un ormai ben saldo tracciato di un euforico corpo a corpo con i segreti, le ripercussioni, le prefigurazioni e le memorie della scrittura che ha nella baldanza e nella malinconia, nella musica e nelle maree di concretezza la personalissima firma dell’autore sfociante in un creativo cupio-dissolvi. Impreziosiscono il progetto di sperimentazione scenica l’art factory NITAM- Les Nomades Italiens du Théatre, des Artes et des Métiers; e gli attori Gianluca Blumetti, Antonio Monaco e Giancarlo Porcari, progetto scenografico di Laura Ciarniello, regia di Giuliano Baragli.

5) Mario Alessandro Paolelli, “Kamchatcka” con Mauro Consolo, Claudio Contini, Alessandro Frittella e Pier Luigi Licenziato, regia dell’autore. Questo corto ricorda la trama del film “Tre fratelli” 1981 di Francesco Rosi. Con la differenza che nel testo di Paolelli i fratelli sono diventati quattro, poiché il quarto è frutto di una relazione extraconiugale della madre, che come nel film di Rosi è defunta. Nel testo di Paolelli i fratelli s’ incontrano per le esequie della loro madre e trascorrono la notte nel salone - adiacente la camera ardente- intorno ad un tavolo a giocare a risiko ( situazione questa alquanto paradossale) nell’attesa della mattina dopo, giorno del funerale. I dialoghi ripercorrono nostalgici ricordi: elenco di persone decedute, antiche diatribe; così si innescano accese discussioni intorno a quel gioco di bussolotti. L’invenzione del testo consiste nell’allegoria del “risiko” e nel rapporto di vantaggio di 3:1, dove lo scopo del gioco è l'annientamento del quarto giocatore. La stessa correlazione accade in questa situazione dove il quarto fratello rivela di essere un “fratellastro” comunicando ai loro fratelli di essere figlio di Matteo, l’amico del loro padre. Emergono da quest’incontro destini , mentalità, condizioni economiche differenti, tanto che uno di loro, essendo nella condizione di indigenza, riceve da uno dei suoi fratelli un congruo assegno di mutuo soccorso economico. Quattro storie diverse, quattro realtà differenti, quattro modi di affrontare la vita.

6) Margi Villa e Eugenio Tanfani, “Io C’ero” 2 agosto 1980” , interpretazione e regia di Margi Villa. Un teatro di impegno civile, tra narrazione e memoria collettiva nella quale sono ben sedimentate le cronache di stragi, fenomeno questo specificamente italiano negli anni della prima repubblica. La costruzione del testo svolge una funzione di denuncia, di protesta, di rivelazione o di educazione e memoria civile. Marina una sopravvissuta alla strage di Bologna del 2 agosto 1980 si ritrova in quella sala d’attesa di seconda classe dopo 30 anni. Il suo ricordo la porta a quando giovane e piena di vita si è trovata in quell’inferno di corpi e macerie. Una strage, 85 morti e oltre duecento feriti. “Vi è una particolare ipotesi sulla strage di Bologna, la strage di Ustica, il caso Enrico Mattei, il caso Aldo Moro, la strage del treno Italicus. Dopo trent'anni di indagini e di depistaggi, i processi non hanno ancora fornito alcuna seria ricostruzione dei fatti: la vera identità dei mandanti resta ben celata, al sicuro negli intoccabili centri del potere occulto. La verità politica era già chiara allora: il sanguinoso massacro della stazione di Bologna si legava alla strategia del terrore tra stati antagonisti. Le cronache di allora, adesso diventate pagine di storia, ci informano che durante l’estate del 1980 l’'Italia era intenzionata a sottoscrivere un accordo con Malta ove l’arcipelago maltese, sarebbe uscito dalla sfera d’influenza di Gheddafi. Il 2 agosto, proprio mentre quell’accordo veniva siglato a Malta, avveniva l’esplosione della bomba alla stazione di Milano ( possibile sia una coincidenza ?). Mentre quaranta giorni prima, durante le precedenti trattative con Malta, l’aereo dove viaggiava Enrico Mattei, era stato abbattuto da un caccia libico. In gergo si chiama vendetta trasversale argomenta l’autrice-attrice: “ …quando un paese, si considera che sbaglia, non gli si dichiara guerra, ma gli si manda un avvertimento sotto forma di bomba che esplode in una stazione determinando una strage.” L’Italia era e doveva rimanere un paese “a sovranità limitata” da governare attraverso la gestione di un potere politico prono, debole, colluso coi centri di poteri occulti e succube delle grandi potenze.

7) Roberto Morpurgo “Pioggerellina nella stanza” interpreti Diego Baldoin e Chiara Politano. Registrazioni di tuoni e scrosci di pioggia. “Non smetterà mai di piovere… cos’è allora…non è pioggia ma lacrime”. Un bell’esempio di linguaggi verbali ed extra verbali, ovvero le imprescindibilità sorgive di gocce /lacrime/parole diventano - per associazioni - i materiali dell’espressività nel tempo fisiologico della realtà scenica come flusso di senso. L’autore nel redigere il testo (che in questo corto teatrale è oggetto di sperimentazione sul linguaggio) evita di chiudere le parole in un unico significato. La realtà letteraria, che l’autore vuol evidenziare attraverso l’uso parossistico delle figure retoriche, rivela le risultanze stilistiche della nevrosi: campo dialogico attraverso un’operazione combinata di intermittenza recitativa, simile alla lampadina rossa sulla testa dell’interprete che si accende e si spegne come spia neutra e frigida dei sentimenti. Anche un altro oggetto di scena, un pertinente “arcolaio” di legno, simboleggia la matassa mitologica di Danae che, durante la pioggia d’oro, avvolge o svolge a dismisura pensieri passionali, gioie simulate, pulsioni negate miste a erotismo afrodisiaco. La recitazione della Politano e di Baldoin è simile a un Ping/pong foneticamente umettante con i risvolti simbolici del mascheramento verbale. Interpretazione “depurata” dagli istinti concreti dove l’orgasmo (verbale) è l’unico testimone superpartes. Titillamento recitativo sfociante in un linguaggio coitale che costruisce l’azione e poi a intermittenza la interrompe: tutto sublimando nell’incontro binario delle pulsioni. Uno spettacolo sostanzialmente arguto, interlocutorio, impudico momento di offerta. “…Ma chi l’avrebbe detto che tutto prima o poi si avvera ?”, sono le ultime battute che sugellano le infinite possibili declinazioni allusive che nella voluttà dialogica trovano il loro naturale riferimento.

8) Massimiliano Perrotta, “Il Mantello” con Benedetto Cantarella e Roberto Pensa, regia dell’A. Un Giovane viandante in fuga interroga un vecchio signore sul sentiero da percorrere. Questo spettacolo-parabola del “mantello” risulta intriso di rimandi sacri e al contempo di profana derisione. Un mantello, anzi un mezzo mantello, che non protegge dall’umidità o dalla pioggia della notte. L’aggancio testuale cui s’ispira l’autore è sulla leggenda di San Martino vescovo di Tours (IV secolo) quando incontrando un viandante in maniche di camicia, nel pieno di un rigido inverno, taglia il proprio mantello in due e gliene offre la metà. La parabola del dono, traslata e riletta con le lenti della cultura laica contemporanea, appare piuttosto inverosimile, perché è improbabile che un uomo – oggigiorno- possa tagliare il proprio mantello e donarlo ad uno sconosciuto. Questo gesto di tagliare il proprio abbigliamento e andare in giro con il mantello o il cappotto tagliato in due, ci farebbe apparire ridicoli e sconsiderati. Magari possiamo pensare che possedendo un mantello in più lo potremmo donare o meglio prestare. Ecco come il messaggio evangelico, riletto con un’ottica laica, viene interpretato come un sistema di valori religiosi difficilmente da condividere. Mentre l’autore suggerisce, attraverso il racconto-metafora del “mantello”, che l’uomo d’oggi sentendosi solo e derubato non creda più che qualcuno possa beneficiarlo con una disinteressata donazione. Soprattutto siamo scettici perché abbiamo un’economia globalizzata che strangola pure la Chiesa, ormai secolarizzata, la quale per necessità contingenti, cade davanti alle tre tentazioni di Cristo nel deserto invece di contrastarle. Uno spettacolo sul donare al prossimo che fa riflettere, intriso di carità fraterna.

9) Valentina Gamma “Tana” autrice e regista, affida l’interpretazione alla giovane interprete Marta Mungo, simile ad una madeleine proustiana, con recitazione fluida come lo sono i ricordi. Il monologo è costruito con intensa compostezza, ed elaborato con palpabile espressività dove i pensieri emergono come “spine mnemoniche” riportando alla luce brandelli di felicità diventate nel tempo lacerazioni. La nuda scena rivela l’oblio dove I ricordi tessuti risultano scuciti nella pelle e nel cuore, restando magicamente sospesi. L’ipnotica mania della solitudine davanti ad un piccolo televisore con cui dialoga, acuisce l’ assenza di un legame profondo che perdura nella continuità d’una trama mentale fitta di lancinanti fobie mentali: “Mirko, il mio bambino lo immaginavo morire. Mirko che viene schiacciato da un’enorme valigia caduta da un alto ripiano; Mirko che si brucia col ferro da stiro e brucia; Mirko che scivola dal terrazzo e si sfracella sull’asfalto; Mirko che annega nella vasca…ed io non faccio niente, è solo colpa mia… e non è stato banale vedere mio marito baciare un’altra donna…Lei gli solleva il bavero della giacca così non prende freddo. Lui gli sposta un ciocco dalla fronte così la vede meglio, poi la bacia…” La voce accorata dell’attrice, che racconta le sue paure ci fa rivivere quel suo abbandono, come La sequenza finale di un film un pò dimenticato, ma toccante. Ecco allora che la scrittura scenica di Valentina Gamma acquista spessore semantico molto simile ad una sceneggiatura intrisa delle più famose scene di baci appassionati del cinema di tutti i tempi. Ma la solitudine di Tana abbigliata con una vestaglietta da camera è simile ad una sdrucita coperta che con il tempo si è infeltrita ed è difficile dipanare i fili della memoria di cui è intessuta.

10) Luisa Sanfilippo “L’universo Interiore di Erodiade” autrice e interprete. (Spettacolo ospite fuori concorso, con recensione/stralcio di Anna Risi ). “… Sottraendosi con maestria alle dinamiche conflittuali del testo sacro, Luisa Sanfilippo reinventa e interpreta una Erodiade che scava nella sua tormentata esistenza ( ormai una regina giudea in età matura, che riflette sulla decapitazione del profeta Giovanni Battista). L’autrice appropriandosi della leggenda apre a quella dinamica creativa del monologo interiore, dove il linguaggio, immateriale e corporeo al tempo stesso, allusivo ed ironico, rende Erodiade una creatura reale e al contempo spirituale, preda di un dualismo basato sulla condanna e il perdono. Il flusso incessante di pensieri e parole trovano pieno riscontro nella fluida gestualità, nella modalità espressiva e nell’incedere cadenzato della parole che evidenziano le costanti di Erodiade: spirito e corpo, passione e dolore, vita e morte, autoaccusa e costante – “inimmaginabile” - desiderio di redenzione. Appartengono alla voce dell’attrice i suoni, le immagini, le suggestioni che scaturiscono dalla sua intelligenza espressiva, a tratti non priva di humour, e sanno incendiare la fantasia del pubblico, attraverso un flusso di parole, a volte dal tono surreale e visionario, miste a odio, amore, crudeltà e dolore, che tanto avevano alimentato la sua vendetta. Ma il tempo che passa assopisce tutto, non i suoi fervori per Giovanni, a cui implora invano, tra dubbi atroci, un estremo tentativo di salvezza, forse – come recita il testo – per un bisogno di riscattarsi da “quell’immagine di donna, simbolo di spietatezza interiore… )

11) Edoardo Sala “L’incidente” ( spettacolo ospite fuori concorso), cast: Matteo Fasanella, Veronica Saccucci, Roberta Lucca, Stefania Tanca, Antonio Coppola, ideazione e regia Edoardo Sala, assistente alla regia Clelia Verde e Gabriella Casali, Scene e costumi Antonia Petrocelli. Un terribile scontro tra due auto il giorno del derby Roma - Lazio all’altezza del ponte Duca D’Aosta davanti all’obelisco del Foro Italico dove c’è scritto Mussolini-Dux. Macchine distrutte, un extracomunitario investito è molto grave. Una donna ricca dei Parioli ha una spalla rotta, un uomo volgare, un macellaio della Lazio, ha una gamba ferita. Una ragazza, tifosa della Roma, è stata presa in pieno ed è frastornata. Irrompe sulla scena una vigilessa che dovrebbe portare l’ordine. I quattro personaggi mostrano i loro veri sentimenti rappresentando l’egoismo, il cinismo e la cecità della società contemporanea. E’ la rappresentazione di quattro mostri! L’episodio, che si apre con l’ingresso discreto ma inesorabile di uno pneumatico in scena, quale effetto di un incidente stradale, racconta con sarcasmo il confronto tra i tre sopravvissuti. Dopo un silenzioso e sofferente uomo di colore, che subito dopo l’incidente stramazza a terra in condizioni di apparente stato di shock, la scena è invasa dai tre rimanenti superstiti i quali non perdono assolutamente occasione di esprimere il proprio disappunto sull’accaduto scaricandosi, come nelle migliori tradizioni, le responsabilità dell’incidente. Il confronto si sviluppa su toni assolutamente comici in cui al focoso e particolarmente “ruspante” tifoso laziale, interpretato da un ottimo Matteo Fasanella, s’intreccerà una stralunata tifosa romanista e una donna presuntuosa e altezzosa; tra questi spassosi personaggi si inserirà l’intervento di una pacata vigilessa con l’intento, infruttuoso, di sedare gli animi infuocati. Le differenze di estrazione sociale, unite a quelle derivanti dall’opposta passione sportiva creano ovviamente i migliori presupposti per lo sviluppo di un confronto dialettico, i cui tratti “peculiari” rafforzano nella mente del pubblico, qualora ce ne fosse stato bisogno, la convinzione della non “oxfordiana” origine dei protagonisti, i quali danno vita ad una serie di esilaranti battibecchi in cui l’insofferenza del tifoso laziale si scontra con l’atteggiamento perbenista e lezioso della donna arrogante fino ad esplodere con la flemma della tifosa romanista. In tutto questo emerge drammaticamente l’immobilità dell’uomo di colore stramazzato a terra, interpretato da Antonio Coppola. Il quale, nell’indifferenza generale dei contendenti, denuncia simbolicamente la superficiale e cinica insensibilità di una società in cui a prevalere sono i propri egoistici e futili interessi di parte. Interessi sempre più ritenuti di fondamentale importanza, rappresentati dall’auto di valore o dalla salvaguardia del prestigio personale fino alla tutela della propria fede calcistica, perdendo di vista così l’essenziale rappresentato da quell’uomo il quale, seppur vicino fisicamente, risulta essere lontano nella considerazione generale fino a causarne l’esito ineluttabile.

12) Duccio Cappello “Mr Darwin e Lei, ” di con Valentina Baragli, Gianluca Blumetti, Vincenzo Cicero e Silvia Tagliatti, Regia di Giuliano Baragli. Un atto unico sull’evoluzionismo dove la teoria scientifica/ filosofica è trattata con gusto parodistico; due aspetti questi che nella scrittura di Duccio Cappello si sostengono a vicenda, in quanto le questioni vengono affrontate con humour capace di rispondere con il linguaggio caricaturale, scritto ad imitazione di serie teorie, su alcune questioni basilari riguardanti l’origine della vita e il mistero dell’esistenza umana. Un ragazzo si è innamorato di una nota paleontologa, più anziana di lui. Lei lo onora della sua amicizia amorosa, ma il suo partner ideale è l’homo abilis, anello di congiunzione tra l’uomo e la scimmia. L’azione è ambientata alla vigilia di un controverso appuntamento elettorale, dove si decidono le sorti della nazione, e i nostri due potenziali amanti, decidono di passare insieme la notte degli scrutini elettorali. Ospiti d’onore, (ecco la magia del teatro) sono gli spiriti di Charles Darwin e della sua assistente francese, entrambi defunti da tempo che si presentificano per dialogare sulla “cosmogonia” evoluzionistica che pretende di descrivere la storia del mondo partendo da postulati scientifici attendibili ma tutt’ora inverificabili. Durante la notte, il ragazzo avrà modo di condividere con i presenti alcune sue personali opinioni: ad esempio, che l’attuale composizione del Parlamento smentisce di fatto teorie sull’evoluzione della specie, e che il papa è simbolo e metafora all’ombra della grande e fantasmatica cupola, e che ( recitando con un filo di voce) a dispetto della sua pretesa infallibilità, è solo un cardinale che ha sbagliato candeggio. E qui lo spettacolo si tinge di humour polemico contro l’affermazione di individualità politiche che si ergono al cospetto del mondo: “… può una maggioranza di idioti eleggere democraticamente altrettanti incapaci?” Ciò che più colpisce nello spettacolo è la prevalenza degli aggettivi sui sostantivi e degli umori sulle ragioni, con esternazioni manichee e ridicole, tipo: « se non esistessero gli omosessuali e il relativismo la Chiesa si occuperebbe di darwinismo”. Ma l’autore, il regista e gli attori conducono un gioco teatrale metaforico e allusivo sbeffeggiando l’evoluzionismo avvenuto nella “casta” dei potentati politici che usano il concetto di democrazia come sistema per riscuotere consensi e denari. L’epilogo dello spettacolo è consolatorio, grazie ai celebri defunti, il ragazzo scoprirà che una donna, nella speranza di attirare la sua attenzione, ogni giorno lascia cadere da un balcone una lettera d’amore, mentre lui passa senza notare nulla. Lo stesso Darwin gli suggerirà che per procreare e continuare la specie, occorre innamorarsi e dedicarsi alle “arti amatorie” perché le vie dell’evoluzione sono davvero tortuose e inspiegabili, pena l’estinzione.

13) Andrea Conte. “ Wash Machine”. Una sorta di tragica pantomima del malessere “invisibile” che corrode la mente come un tarlo silenzioso, di un uomo calato, immerso nei problemi conflittuali della quotidianità. Paolo lotta contro tutti. E’ l’uomo che “non si muove, si agita” e attraversa la vita andando a ritroso. La sua esistenza è stata sconvolta dalla malattia che gli ha procurato la precarietà, il panico e da quel momento l’”indifferente folla brulicante” lo tormenta. Un uomo in lotta con se stesso e con il suo incubo. Tutto ruota attorno ad un avvenimento, accaduto nell’impersonale e spoglio spazio che occupa una lavanderia a gettoni, in un lercio piano terra che affaccia su una strada della periferia romana. Ride Paolo, ride del suo incubo: l’essere stato vittima di una qualche forma di violenza, problemi finanziari e lavorativi, e cerca la strada per venirne fuori. A fargli compagnia in scena c’è tanta gente fantasmatica, immaginaria e reale allo stesso tempo. Non è altro che un ostacolo sul suo percorso verso la guarigione. Il passato che non l’abbandona, il futuro che senza passato non può addivenire. La sua compagna, Barbara, ha più coraggio e gli regala una creatura. Giulia è nata è ancora Lui assillato dal panico non è riuscita a vederla.

14) Carla Piubelli “Appuntamento col caro estinto”, Con alessandro Bassetti, Vittorio Giannini, Carla Piubelli, Carmen Pompei. Regia di Masaria Colucci, scene Giulio Bentivegna. Come avviene nella vita, in questo spettacolo- ambientato tra quattro tombe- palpita la vita e il sorriso si converte in un benefico humour, e il compianto viene ricordato da una torbida risata. Dalla vedovanza si passa alla farsa, con una leggerezza acrobatica che soltanto alle vedove è possibile: civetteria da una parte e fatuità dall’altra. E allora dopo la maschera del dolore che si manifesta per la morte del marito, che ormai da morto e da seppellire alla svelta, dopo tanto pianto, dopo tante sofferenze, dopo tanto strazio, ( perché ci si ritrova soli) ritorna il desiderio di rimpiazzare il defunto con un nuovo compagno o marito, che bene o male, assicuri una nuova passioncella carnale, e magari calcolo di nuova sistemazione. Un sogno da realizzare entro i limiti e nel ritmo di nuove opportunità. Due donne si incontrano, ogni domenica mattina, vicino alle tombe dei loro mariti. Nasce un’amicizia, favorita dal condiviso sentimento di perdita. Fa da sfondo alla loro vicenda un cimitero di una qualsiasi città, popolato da un microcosmo simile a quello che si potrebbe incontrare in un condominio o in un bar. Amore, odio, amicizia, rancore, perdono, egoismo per amore in un susseguirsi di colpi di scena. I protagonisti di questa commedia dissacratoria e per tale motivo divertente, vivono le loro emozioni, incarnando gli archetipi che sono dentro ognuno di noi. Sono personaggi femminili che più si innamorano più mentono. Nascondono sotto l’allegria sentimenti o sensazioni, stati d’animo e subbugli interiori, per meglio attirare a sé l’uomo o per più saldamente conservarne l’affetto. Mentono questi personaggi ( nell’uomo il sentimento e sensuale) sul loro passato e sul presente, così mentono quando giurano sull’avvenire. Le vicende s’intrecciano sfociando in un finale inaspettato, scoprendo che, come sempre, non ci sono né vincitori né vinti e che solo accettando la realtà per quella che è si può vivere il presente, senza rinnegare il passato.

15) Olga Sgambati “ Da domani” regia Gerardo Galdi. E’ un mistero come la magia di Caminito, celebre tango argentino (parole di Gabino Coria Peñaloza, musica di Juan de Dios Filiberto composta nel 1926(disco Pathé)eseguita dall’ orchestra di Manuel Pizarro) sia funzionale a raccontare, soprattutto attraverso una coppia danzante, la nostalgia, il distacco di vicende vissute. Questo il primo quadro scenico, danzato nel chiaroscuro della memoria collettiva. Dissolvenza come in una sequenza cinematografica dove appare Olga sgambati autrice e magnifica interprete con una recitazione tipicamente romanesca che rimanda a tanto cinema di modernariato neorealista. Virginia, questo il nome del personaggio, è la voce di una donna, esasperata dalla quotidianità familiare, che urla incessantemente il proprio bisogno di essere ascoltata come moglie e come madre. Una donna che racchiude in sé l’emblema della fatica fisica e psicologica ad assolvere tutti quegli impegni domestici che le sono delegati da un marito presente solo nel proprio lavoro. Virginia lotta fino allo stremo delle proprie forze con se stessa pur di conservare il ruolo di moglie comprensiva e di madre amorevole. Un’opera prima di Olga Sgambati, già attrice e regista teatrale, in cui si fa viva e consapevole la trasformazione dei valori e delle incombenze di responsabilità della donna oggi. Una riflessione anche sul linguaggio teatrale sempre più introspettivo ed esistenziale, che porta il progetto di scrittura testuale all’analisi di un presente e di un passato che non può essere cancellato, continuando con coraggio a vivere quella parte di destino a cui si è costretti a sottostare. E la vita che si sarebbe voluta vivere, come in un avvolgente romantico tango, si mostra in un flasc di ricordi come una luce bianca e penetrante che non lascia scampo.

16) Giuseppe Malandrino “La Notte Prima” con Carmen Manzo, regia dell’autore. Nello spazio di una notte una bella donna non giovanissima, aspirante attrice, trovandosi al primo stadio di gravidanza, deve decidere se rinunciare a diventare madre, procurandosi un aborto, per accettare una proposta di lavoro di un noto regista che gli ha promesso un ruolo importante e che certamente la rivelerà al grande pubblico, oppure scegliere di portare avanti la gravidanza e diventare madre. Il testo attuale nella sua drammaticità è tutto improntato nei toni e nelle titubanze dell’attrice che ben manifesta un verosimile stato sulle scelte da fare. Il suo linguaggio (adottato dall’autore) è lessicalmente crudo e sboccato nelle espressioni gergali, tipico della generazione contemporanea obesizzata da insulse spinte autodistruttive, dai disordini alimentari, dalle diverse esplosioni di conformismo ibridato di violenza. La donna mentre si accorge di essere rimasta incinta, altresì non ricorda chi possa essere il padre. Fare sesso per lei è una specie di terapia per colmare la solitudine, il senso di vuoto interiore. Oppure il sesso come merce di scambio per ottenere dei favori. Il personaggio rievoca i suoi conflitti sedimentati ma mai rimossi: Adesso è tormentata a causa della decisione che ha preso e da un’ansia che le toglie il respiro e le confonde i pensieri… In quella notte, piena di scrosci di pioggia e tuoni, desidera solo dormire ma non vi riesce. Nella speranza di sedare quell’angoscia che la sta consumando, racconta il rapporto conflittuale con la madre, un’infanzia terribile, cresciuta senza padre e con una madre ninfomane che si portava gli uomini in casa. E lei bambina era costretta a sentire i gemiti coitali della lussuria. Crescendo il suo sogno era di diventare un’attrice di successo adorata dalla gente ed il suo immenso bisogno d’amore. E quell'evento della gravidanza inaspettata che permette alla donna di "ascoltare" veramente il proprio corpo, stabilirà, un'unità psicocorporea con il suo bambino che decide di far nascere. Un figlio gli riempirà la vita e non avvertirà il disagio derivato dalle rinunce dei propri interessi.

17) Francesco Rossini e Alessio Rizzitiello “Una poliglotta storia” corto, co-autore e regista (premio “Miglior regista giovane”) con Stefano Mereu, Alessio Rizzitiello e Niccolò Scognamiglio. Un faretto direzionale sul proscenio rivela la sola immagine di Rizzitiello, prima di fronte, poi di profilo, destro/sinistro. Poi la luce inonda il palcoscenico rivelando gli altri due attori Mereu e Scognamiglio. Un incontro dovuto al caso, o forse al destino. Quei tre uomini nella sala d’attesa dell’albergo tentano d’instaurare un inutile, grottesco dialogo. Solo Rizzitiello parla in italiano, chiede ai due dov’è il wc, il bagno, la toilette per un’impellente bisogno. I due glielo indicano in una strana lingua, emettendo robusti suoni fonetici caratterizzati da consonanti dure espressi con scandita potenza vocale; iniziando così un improbabile colloquio poliglotto. Apprendiamo che l’azione è ambientata in un alberghetto di terz’ordine a Las Vegas, epitetata città di perdizione per gli afrori che emanano i suoi dislocati bordelli; una specie di Sodoma e Gomorra famosa soprattutto per le sue case da giuoco e nota località in cui il protagonista si è recato per ottenere facilmente una concessione di divorzio dalla propria moglie. La citazione di un manifesto che ritrae la bionda Marilyn Monroe, amplifica la sua misoginia verso l’ostentata femminilità. Così, è evidenziato, il motivo dell’alienazione derivante dall’ossessiva ripetizione dell’immagine pubblicitaria di Marilyn che gli ricorda la sua ex moglie ossigenata per rassomigliarle. Tra incomprensioni, ripetuti sguaiati brindisi con vodka, e una buona dose di non senso, l’ epilogo registico arriva imprevisto. I due uomini, come in una sequenza di verosimiglianza cinematografica, si suicideranno l’uno dopo l’altro con la medesima rivoltella puntata alla tempia. Il messaggio è fin troppo chiaro: si vuol moltiplicare una sensazione allarmante di una situazione esistenziale sulla quale i brani-frammentati del copione ricalcano gesti e movimenti, attimi e situazioni, tra realtà e irrealtà di certo teatro intriso di tragicomicità metaforica quanto allusiva, stigmatizzata nel pensiero autodistruttivo d’una umanità tesa all’alienazione.

18) Nino Musicò “In hoc signo” L’autore porta in scena i dubbi che affiorano nel mondo del sacro in una realtà cattolica ormai da tempo secolarizzata. L’autore non prende come modello la divinità, e nemmeno il suo delegato Pontefice, o dignitari ecclesiastici, come ha fatto Moretti in “ Habemus papam” . Il soggetto del suo corto teatrale è un semplice sacerdote, un essere umano con le sue fragilità, attraversato da vitalistiche pulsioni e, dunque, capace di essere attirato da “tentazioni” da reprimere e giustificare. Ottima la prova attorale di Musicò perfetto in abito talare, nel ruolo di un sacerdote in crisi, assillato da nevrosi e turbamenti che si tramutano in inquietudini umane con impellenti ossessioni e omissioni che sfociano in quotidiane idiosincrasie, morettiane del film “La messa è finita”. Il breve monologo, costruito sulla storia di una presa di coscienza di un fallimento pastorale, è un condensato di speculari disquisizioni, riflessioni e discernimento del sacerdote mentre fa anticamera dal vescovo per riferirgli, opporgli delle difficoltà oggettive: di aver maturato la decisione di lasciare il ministero in quanto l’esercizio della virtù lo conduce ad una perdita radicale di se stesso, lo espropria nel profondo, lo uccide. Il testo è importante in quando coglie le problematiche correnti sulle crisi della vita sacerdotale, la quale non consiste tanto nel fatto che un uomo “ si riservi” di consacrarsi a Dio, ma soprattutto nel fatto che la Chiesa “lo riservi per se”, lo faccia suo, con funzione giuridica e canonica finalizzando la sua esistenza per il servizio di culto. In questa chiesa secolarizzata, sono proprio i religiosi e le religiose che assumano l’atteggiamento di chi interpella la Chiesa, di chi chiede spiegazioni ponendo quesiti da risolvere alla gerarchia ecclesiastica, di chi dice che nel Codice di Diritto Canonico c’è qualcosa che manca e che si vorrebbe ci fosse. E ciò comporta un modo diverso di concepire e impostare la vita di religioso.

19) Melania Fiore “Tutto il mio amore. Un monologo sull’ incertezza di vivere nel sud, che si fa nel suo divenire poetico dialogo d’impegno civile. Melania Fiore scrive e recitando dipinge con la sua particolare tonalità di voce agrodolce, illustrando il Sud come il paese delle fate, delle arance alla vaniglia, con il mare azzurro come il cielo. Un Sud che diventa pattumiera tossica, dove si muore da giovani, magari di lenta inedia , oppure di tumore maligno; ma anche ammazzati dalla malavita, magari prima di aver visto nascere il bambino, frutto del primo amore. Un sud dimenticato che l’autrice resuscita con parole d’amore, mentre racconta e accarezza, nel suo pancione, il bimbo che dovrà partorire. Racconta di uomini fragili cui la sorte ha fatto nascere in un luogo fatato e che soccombono perché continuamente taglieggiati dagli esattori della 'ndràngheta. Recita l’autrice, questo è un monologo, dove l’Amore è uguale a Donna; donna è uguale a resistenza. Questa non è solo una storia d’amore tra due giovani: è una storia di dolore e di coraggio, oltre ad essere un affresco a tratti sconcertante di certa realtà di oggi. Per cui questo monologo diventa un dialogo, quel dialogo che i giovani cercano con le istituzioni, col Paese, con se stessi. Un paese che sta scomparendo, attanagliato da un misterioso Nulla. Il Nulla è il nostro silenzio che si fa maggioranza silenziosa, sommersa e attanagliata dal bisogno che fomenta la paura, l’incapacità di reagire a ogni forma di mafia. Uno spettacolo incredibilmente vero. Storia di una ragazza e della sua coscienza. La storia di una ragazza del Sud con un suo progetto di realizzazione esistenziale, con la sua valigia di sogni, che però con coraggio sceglie di restare.

20) Antonio tramontano “Angeli sporchi” con Marina Amabile, Maria Antonietta Decaro, Antonio Tramontano. Ad apertura di sipario, l’autore è in abito e paglietta bianco come ne la straordinaria scena finale di "Morte a Venezia" (Luchino Visconti- 1971), accanto ad un cavalletto da pittore seduto in posa di riposo, quale preannunzio dello spettacolo scaturito da una fantasia onirica - in chiave allegorica - sui vizi piacevoli considerate trasgressioni . La prima azione che anima la pièce è un’azione coreografica, nella descrizione di una esile danzatrice che esprimendo una classicità contemporanea, con coscienza delle forme e di gestualità suadente, si sfila con gesti fluttuanti lo slip. Una creazione reale, tangibile della bellezza, come solo la danza e la musica( l’adagetto, pianistico/sinfonico di Mahler), giostrate in una “expression corporelle” ricca di sorprese e mutamenti emozionali, sanno riunire come possibilità totali di sensualità: memoria del tempo ritrovato, citazioni interdisciplinari della continuità assoluta dell’arte. I dialoghi che seguono sono improntati ad una nevrosi ossessiva della “coazione a ripetere” : “ Perché l’hai fatto? Perché me l’ho hai chiesto tu, l’ho fatto per amore”. E’ una storia d’iniziazione della donna ad altri amplessi, sotto l’occhio del suo uomo che si compiace, dove la sola parola seduttiva diventa amplesso e dove il pudore è fenomeno estraneo, ogni attenzione è rivolta a quella sorta di complicità richiesta dalla donna al proprio uomo. Un testo “ freudiano” ove la stessa musica e danza avvolgenti accompagnano i dialoghi, rimandano a quelle “coazioni erotiche” con presenze estranee, ma così necessarie, agli equilibri di coppia. Pur argomentando di situazioni “scabrose”, l’immagine compositiva dello spettacolo è di una eleganza ed estrema pulizia formale. Eppure quei corpi hanno grazia femminea e una straordinaria concretezza; è la mente letteraria la grande peccatrice: le narrazioni triangolari e gli intrecci che calibrano ombre e luci. Crediamo che questa “performance teatrale” di Tramontano non debba essere solo letta come lavoro testuale, bensì come scrittura scenica dove interagiscono e si stratificano più linguaggi. Innanzi tutto la scrittura coreografica diventa l’asse portante del lavoro, volano di una body art sustanziale ai dialoghi del testo, dove l’eloquio su “erotismo e arte” non è mai volgare. L’arte, (nemmeno quella apollinea) è mai stata la sublimazione d’ogni profondità; ma piuttosto specchio dell’uomo e delle sue passioni: elemento rivelatore dei misteriosi meccanismi che regnano nell’intimo.

21) Rodolfo Andrei “L’Idraulico che uomo !” con Daniele Margaglio, Accompagnamento musicale di Marco Boriglioni, regia di Daniela Diviso. Filippo, la moglie Lucilla, e il “Niagara”, (un quadretto di vita in tre) che viene usato quotidianamente dalla stessa Lucilla per la pulizia delle tubature. Scarico lento? Acqua stagnante? Cattivo odore? Prevenzione degli ingorghi ( mentali?). Un testo che esula di parlare di emozioni o personaggi e centra l’argomento “in senso figurato” su tubi idraulici intasati che occorre metaforicamente sturare, dove finalmente arriva “ l'idraulico” che però non è l'idraulico… alle prese con tubi e sifoni. Da qui inizia un cambiamento profondo e benefico, sia per Filippo, sia per sifoni e flessibili, sia per la “topa” da sturare. Quando però sifoni e flessibili hanno bisogno dell’intervento di un idraulico, ecco che si presenta un individuo bello e aitante di nome Nazareno del tipo “Mister Muscolo”. Filippo ha un’idea. Per riconquistare l’amore della sua amata, si trasforma, suo malgrado, in un modello d’idraulico… in incognito. E allora quando sarà chiamato come idraulico agognato dalle tante Lucille che ci sono al mondo, tutto avviene, tranne che la riparazione del lavello. Che cosa dire di questa scrittura? Vorrei sospendere il giudizio critico, dirò parzialmente che con questo titolo, ci si aspetterebbe un corto di divertimento e civetteria ma… il testo rivela un fondo di misoginia sulle tante storie di casalinghe insoddisfatte.

22) Luciano Bottaro “Purgatorio”. Con Anna Maria Pediconi, Silvia Pacilli, Francesca Caricato, Azzurra Taraborelli, Alessia Abbondanza, Fausto Giammusso, Denise Gonzales, Cristiano Abbonizzo, Simone Targetti, Angela Tofano, Adriano d’Angelo, Fabio Renzi, Martina Pensa, Elisabetta Cardosi, Nadia Russo. Regia dell’autore. Aiuto regia: Daniele Onorati, Eva Marchetti, Marco Piilucci, Azzura Taraborelli. Abbiamo riportato tutti i nomi dei partecipanti per evidenziare la partecipazione al laboratorio teatrale della seconda parte del progetto “ Divina Commedia” che ambienta il Purgatorio, o meglio i canti del Purgatorio di Dante, in un padiglione psichiatrico dove le povere anime ignare e inconsapevoli del loro destino urlano e si dimenano in una sofferenza eterna, fino a quando al massimo della loro sofferenza si avvicinano a un improbabile benessere nella speranza di vedere una prospettiva di guarigione. Lo spettacolo, all'apparenza inquietante e crudo, si rivela, grazie alla perfezione ed alla musicalità del verso dantesco e agli esperimenti sonori di Giulio Allegretti e alle immagini di Daniele Onorati, un riuscito amalgama di contrasti “purgatoriali” al limite della sopportazione: corpi che rotolano, si aggrumano, si dimenano avvolti nei camici di contenzione, assumendo nel loro torcersi esasperato forme metamorfizzate nel sotto-piano o nei sottosuoli dell’esistenza labile, protesa verso lo stadio intermedio di anime non più dannate, ma in attesa di “risvegli”. Il laboratorio teatrale di Bottaro sperimenta concretamente le tecniche corporee dell’atto teatrale, volano della drammaturgia che nasce da un laboratorio permanente finalizzato a sviluppare lo spettacolo come veicolo di coscienza collettiva.

Vincitori dell’XI Edizione anno 2011.

· 1 MIGLIOR AUTORE CORTO: N. MUSICO’

· 2 MIGLIOR AUTORE ATTO UNICO: DUCCIO CHIAPELLO

· 3 MIGLIOR AUTORE MONOLOGO: MARGI VILLA

· 4 MIGLIORE REGIA: GIULIANO BARAGLI

· 5 MIGLIOR ATTORE: GIANCARLO PORCARI

· 6 MIGLIORE ATTRICE: MELANIA FIORE

· 7 MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA: FRANCESCO ROSSINI

· 8 MIGLIORE ATTRICE NON PROTAGONISTA: RITA PIERMARINI

· 9 MIGLIOR SPETTACOLO: IL TAGLIANDO

· 10 MIGLIOR SPETTACOLO DI INNOVAZIONE: DA DOMANI

· 11 PREMIO DELLA DIREZIONE ARTISTICA: EDOARDO SALA

· 12 MIGLIOR REGISTA GIOVANE: A. RIZZITIELLO

· 13 PREMIO SPECIALE GIURIA: MARIO ALESSANDRO PAOLELLI

· 14 PREMIO DIREZIONE ARTISTICA : EDOARDO SALA

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