di Vincenzo Sanfilippo, ottobre 2011
scènario
Scritto da Vincenzo Sanfilippo*
Teatro La sera della prima
DIARIO D'ARTISTA
Giorgio Albertazzi in “Cercando Picasso” Con la Martha Graham Dance Company
Regia di Antonio Calenda. Coreografie di Martha Graham riproposte da Janet Eilber -
Scene e costumi di Pier Paolo Bisleri
Luci di Nino Napoletano Suono di Carlo Turetta
. Produzione: Teatro Stabile del Friuli venezia Giulia, Teatro di Messina, Orkestra Entertainment.
Un progetto di propositiva imprenditorialità che, nonostante gli incombenti tagli al finanziamento Fus, vede uniti in una comune partnership il teatro stabile del Friuli Venezia Giulia, che ne è il principale artefice, e quelle dell’Ente Autonomo Teatro di Messina (direzione artistica di Maurizio Marchetti) con l’Orkestra Entertainment srl, che per storia e presente produttività sono sinonimo di serietà e qualità nel campo dell’intervento pubblico. Un investimento culturale che utilizza le sinergie e la connettività dell’indipendenza creativa per indicare un nuovo modello di produttività da intraprendere.
(nostro servizio)
Roma- In platea, prima che lo spettacolo abbia inizio, si nota subito la massiccia presenza di un pubblico "maturo". E’ la classica platea eterogenea delle prime romane, tra loro molta gente nota di spettacolo che guarda al teatro e al futuro della cultura con un pizzico di apprensione e nostalgia. In questa attesa osserviamo il grande sipario d’epoca (1917) ispirato a “Parade” installato per l’occasione sul proscenio del teatro Quirino. Lo storico drappo dipinto da Picasso, adesso conservato a Parigi presso il Centro Pompidou, fu realizzato per un allestimento di Jean Cocteau, e rappresenta una composita scena dove animali, acrobati, divinità ed ermafroditi celebrano l’incantesimo della vita attorno ad una creatura mitologica, Pegaso, il cavallo alato che sulla sua groppa tiene in equilibrio instabile una fanciulla anch’essa alata, sintesi pittoricamente stupefacente di molteplici suggestioni culturali. Quando il sipario si eleva, ecco disvelarsi un enorme letto panneggiato di candidi lenzuoli fra i quali giace Albertazzi-Picasso; e poco dopo da sotto le lenzuola fuoriescono fluenti ragazze che, come sirene tersicoree, iniziano a danzare - su musiche de “ Il cappello a tre punte” di De Falla - assumendo sensuali gestualità con spirito intriso di euritmia corale: “ Le Sirene – pronuncia Albertazzi – “cado pezzo a pezzo nella gola delle sirene dove tutto ebbe principio, nel mio al di là: la Physis”.
Cosa da' omogeneità al tutto? La distribuzione compositiva dei quadri scenici che afferma l’idea di regia di Calenda quale poetica di "fluidificazione del senso" (congruente con i significanti coreografici) e la teatralità immediata dei recitativi di Albertazzi, il quale regala al pubblico le emozioni “impensabili” del Duendeelaborato fra mito e segni, fra esperienza ed autoesaltazione del linguaggio. Segno di un incanto che vuol raccontare la visione prismatica dell’arte, certamente anche erotica, libera da ogni convenzione o pregiudizio, senza remore di pudicizia. Una sorta di magico rilassamento in cui domina con provocatoria raffinatezza l’idea dell’eros creaturale picassiano elevato alla potenza di ritualità ed arte.
Il tema coreografico prende spunto dagli scritti di Picasso sulle donne e sull’amore, sviluppato dalle stupende danzatrici della Martha Graham Dance, evocanti con moduli di sensualissime movenze le donne che ebbero "il privilegio" o “la disavventura” di essere sottomesse alla sua sessualità antropofoga, teneramente compulsiva. L’artista le domava, le stregava, le aspirava, le spalmava con creaturali performances antesignane della “Body Art”; e ancora, quando aveva estratto la loro quintessenza, animale ed intellettuale, le abbandonava esangui e trafitte. Del resto, tutte le relazioni di Pablo (senza qui esprimere giudizio morale) sono state delle “coazioni a ripetere” dove le parabole passionali ascendenti di ogni grande amore si tramutavano tragicamente in discendenti. Ci domandiamo quale strano masochismo ha fatto sì che molte divenisssero pazze per Lui e del suo genio. Probabilmente perché oltre averle amate, tutta quella miriade di donne, l'artista le ha eternate (dipingendole) ed elevate a capolavori di simbologia ed apoteosi dell' immaginario. “Dipingo le mie amanti - diceva Picasso - come i poeti scrivono", riferendosi all' amico (e crapulone) Apollinaire.
Albertazzi, indicando un’ascendenza di ridanciano humour quale elemento di osmosi tra realtà e finzione, tra un’oggettività d’eros mentale e una metamorfosi delle sostanziali pulsioni, apostrofa (vivacemente, senza volgarità) il "pittore Picazzò”, raccontando come il personaggio che egli interpreta sia arrivato alla vecchiaia con la freschezza di un Peter Pan senza essere passato per l’età adulta. Tutto il suo cercare Picasso sembra avvilupparsi attorno al tema delle “amanti dell’artista”, qui rappresentate non realisticamente ma allegoricamente dalle danzatrici che lo circuiscono in una danza ritmico-dinamica, derivata dalla tradizione ispano-americana arricchita di gesti, figurali. Doveroso elencare le più note tra le amanti: Fernande Olivier, Gertrude Stein, Eva Gouel, Gaby Depeyre, Irène Lagut, Olga Koklova, Marie Thérèse Walter, Dora Maar, Nusch Eluard, Françoise Gilot, Geneviève Laporte e Jacqueline Roque. Picasso, “fagocitante” nel saper cogliere il meglio, era il loro insaziabile padre-padrone. L’artista amava dire: “Quando ho cambiato donna mi è accaduto di cambiare anche lo stile pittorico che mi veniva ispirato dalla nuova compagna-musa complementare alla mia creatività”.
Nello spazio candido concepito per “Cercando Picasso”, vengono citati anche altri personaggi dell’epoca, primo fra tanti Federico Garcia Lorca di cui Albertazzi interpreta “Tamar e Amone”. Nello spettacolare sistema di segni-luci è visualizzata una tauromachia e l’attore indossa una grande testa di toro, mentre intorno alla corrida danzata sfocia una sfida tra matador e toro come un confronto mitico che rimanda al “duende” lorchiano. Parola intraducibile, che è la virulenza che si sprigiona dalla lotta interiore innescata, senza preavviso, nella mente del filosofo e dell’artista; l’uno e l’altro utilizzano regole, principi, modelli diversissimi sino alla completa saturazione, alimentando la creazione di altre strutture in grado di catturare e di interpretare la realtà e il pensiero. L’obiettivo di Albertazzi è quello di dimostrare che l’inquietudine - quella senile picassiana, nella veste di forza indecifrabile di energia oscura - è comunque portatrice di frutti, e risulta essere il motore dell’esperienza del vivere: punto d’avvio tanto del pensare quanto dello sperimentare emozioni, quindi un dizionario di segni nella costruzione di svariate immagini.
Costruzione letteraria e figurativa che Picasso elabora nel fiabesco testo “Le quattro bambine”, la cui narrazione procede per accostamenti danzati bizzarri fra insetti, astri e fiori. L’ambientazione è mutevole: un bianco orto con un pozzo al centro, un candido tavolo imbandito che nello spazio diviene etereo: non c’è posto per descrizioni realistiche, soltanto per elementi magici da mondi incantati. Le danzatrici passano il tempo fra girotondi e filastrocche creando curiosi giochi di parole. Danno loro voce, Piera Degli Esposti che interpreta la Torta, Andrea Jonasson che recita l’Angoscia magra, Franca Nuti che fa l’Angoscia grassa, Elisabetta Pozzi si finge la Cugina svampita. In tale situazione Albertazzi interpreta Piedonedentro un enorme piede carrellato e trasportato dalle danzatrici, osannando: “E quando ascolto all’orecchio del silenzio e vedo i suoi occhi schiudersi e spargere il profumo delle sue carezze, accendo i ceri del peccato col fiammifero dei suoi richiami”.
Sappiamo che Picasso non ha mai partecipato ai dibattiti teorici intorno alla sua arte, ragion per cui si era creata la diceria che egli non amasse dialettica e scrittura critica. Ed invece due sue pièces pubblicate da Ubulibri nel 1984, e ristampate negli ultimi mesi, dimostrano il contrario. Certo è che l’artista mantenne un certo distacco da quel che succedeva nei teatri della sua Parigi del secondo dopoguerra, dove si sono affermati Sartre, Camus, Beckett e Ionesco. E mentre in quel periodo nascevano l’esistenzialismo e il teatro dell’assurdo, Picasso sembrava non comunicare con il mondo che lo circondava, preferendo rifarsi a modelli precedenti, quali il grottesco di Jarry o il simbolismo di Mallarmè.
Visionando il libretto di sala “ I quaderni di Teatro n°85” non possiamo non citare l’intervista al regista dello spettacolo Antonio Calenda che è da considerarsi alla stregua di una pagina di diario della sua formazione-primi anni ’60- avvenuta con il suo allestimento “Il desiderio preso per la coda” su testo di Picasso. E che, dopo tanto prolifico circuitare registico, adesso approda a questo suo spettacolare “Cercando Picasso”.
Segue il saggio di Renato Barilli “L’alto e il basso del sublime” forbita e speculare introduzione alle due pièce teatrali scritte da Picasso negli anni ’40 “Il desiderio” e “Le quattro bambine” rivelandoci la vena scritturale complessa del maestro ispano-francese. E poi il saggio di Mario De Micheli “La trasformazione metamorfica degli oggetti”, ovvero com’è stata operata semanticamente la progettualità spettacolo, mediante proiezioni quasi olografiche degli elementi compositivi del dipinto Guernica costituiti da riconoscibilissime forme molto semplificate: il toro, il cavallo, il coltello, la lampada , il fiore, la madre con il bimbo morto, la casa in fiamme sventrata dai bombardamenti. A seguire v'è lo scritto della coreografa Martha Graham “Sono una danzatrice” ove argomenta che la disciplina della danza rappresenta il simbolo della vita e che ciascun danzatore non è altro che un’atleta di Dio.
L’insieme di questo lieve, diafano spettacolo "del sogno" si dissolve e confluisce nel tratteggio grafico (computerizzato su alta tela) della candida Colomba della Pace dedicata da Picasso alla Berlin Ensemble di Brecht e divenuta uno suoi simboli della sua arte. Gli applausi prolungati si tramutavano in ovazioni mentre Antonio Calenda e Giorgio Albertazzi ringraziando il pubblico emanavano un accorato appello ai nostri governanti e alle forze della rappresentanza sociale, per superare il problema dei tagli alla cultura. Non togliete la parola al teatro, che è vita.
*Vincenzo Sanfilippo è artista, saggista e responsabile della sezione arti visive di inscenaonline.com - scénario
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