Rec. InScena Labbra Serrate di V. Sanfilippo



LABBRA SERRATE di Renato Giordano

con Cesare Biondolillo, Debora Capriotti, Marco Feo

Regia dell’autore.

Produzione in collaborazione con il Centro di Drammaturgia Europeo.

Rassegna Schegge d'Autore.Roma.Teatro Tordinona

di Vincenzo Sanfilippo.

PARADOSSI DI MAFIA


Se il prototipo del malavitoso italo americano, professionista gelido, preciso, razionale, ha un corpo nella sua espressione concreta, nella sua perfetta “professionalità”, il suo alter- ego siciliano risulta, come in uno specchio deformante, un mafioso spaccone, disordinato, irrazionale e ingestibile. L’uno uccide perché è il proprio mestiere, l’altro per imporsi nel (nei) clan. Con la sua stringata scrittura scenica, Renato Giordano si misura con i tempi della sintesi teatrale realizzando la geometria di uno dei più inquietanti fenomeni del nostro tempo: la criminalità organizzata intrecciata con le sorti del peggiore affarismo. Un segno scritturale -quello di Giordano- che descrive i personaggi ed è sottile come un sibilo. Un segno che scruta, che indaga le differenti psicologie, che ai personaggi farà assumere posizioni malavitose, segmentando i piani recitativi in una geometrica triangolazione satura di sottile perversione. Corpi e ambienti che hanno una straordinaria concretezza, la cui tematica - va ricordato- era motivo ricorrente del giornalista, scrittore e drammaturgo Giuseppe Fava (1925-1984), nel suo teatro d’impegno civile, finalizzato a “processare” le più occulte e radicate mentalità malavitose con la loro logica di sopraffazione, intimidazione, clientelismo sub-proletario. La “scheggia” di Giordano rimanda a temi più complessi e articolati: in quando, attraverso l’episodio narrato nella piece, descrive la malavita organizzata nella sua evoluzione storica, includendo nel suo ventre molle-famelico gabelloti e aristocratici, briganti e notabili, affaristi e narcotrafficanti, tangentisti e massoni. Le donne ci sono, ma la loro presenza risulta essere subalterna e passiva, ritagliata esclusivamente nello spazio domestico dell’onorabilità. Donne conniventi, certo, ma il cui ruolo all’interno dell’organizzazione è stato sempre negato, disconosciuto alla femminilità. E' da qui, attraverso la presenza di una donna-amante, che Renato Giordano focalizza il “granello di sabbia” che farà inceppare la realizzazione dell’incarico delittuoso commissionato dai vertici della Cupola a due capi-clan. Lo spettacolo, oltre al suo implicito bisturi civile, è un godibile triller : come se Giordano avesse estrapolato dalla moviola alcune sequenze filmiche raggrumate in quel “lampo sanguinoso” che fa intravedere la "tragedia” ridotta da una donna a tragicommedia: <>-esclama la vittima con tono gaglioffo e sfottente, devastato da una crisi di stupidità professionale prima di morire "da minchione”. La scrittura (scenica e da copione), maturata in chiave metaforica e allusiva, giunge a sorprendenti risultati di humour quando i due uomini- d’onore subiscono violenza dalla donna-amante che, discinta e pusillanime, come una mantide religiosa, tesse la trappola fagocitante i due killer, i quali se la contendono in una bizzarra alcova blindata, e dove l’eros è addirittura profumato di ironia, di oscena risata. La rivolta delle donne alla subordinazione maschile afferma che l’evoluzione-riscatto dalla induzione a delinquere è in atto, quale processo di mutazione antropologica, in quanto aggressività e conflitto appartengono, come consequenzialità, al loro sesso.
Spettacolo molto ben recitato e applaudito perché, nell’organicità dei quadri scenici costruiti simili a fotogrammi, alimenta nel pubblico momenti di sorprendente ilarità. Come quando la tragedia impara a farsi o decantarsi in tragicommedia. 

V.. Sanfilippo
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