La bellezza




di Alfio Petrini, "Prima Fila"







"La bellezza"
Prima Fila

Senza forma e senza testo è la poesia del teatro. Scaturisce dal comportamento poetico dell’artista rispetto alle cose che racconta. E’ invisibile. E’ impalpabile. Dura nel tempo. Rappresenta il valore aggiunto della creazione artistica fondata su una miscela linguistica eterogenea. Allora, lo spettacolo cammina sulle gambe del sapere e del non-sapere. Porta con sé mistero e fascino. Procede sul crinale tra dicibile e indicibile. Suscita stupore, che equivale a perdita di realtà, che nasce sulla soglia, che pone nella condizione di stare con i piedi per terra e la testa in cielo, che genera nuvole che generano altre nuvole, che produce uno stato di stordimento, che spinge a seguire il sogno e ancora a seguire il sogno. Ma oltre la natura, oltre la realtà, c’è solo il sogno? C’è l’inganno che dice la verità. E quando lo spettacolo si presenta oscuro e imprevedibile brilla come un cuore di tenebra, ama e possiede lo spettatore, soddisfacendo appieno il suo desidero. 
Tutto questo si addice perfettamente allo spettacolo "La bellezza", prodotto da Libera Mente, con la regia, e non solo, di Davide Iodice e la scrittura scenica collettiva, che trae i codici testuali di riferimento da Pazienza, Auden, Morante, Pisolini, Rossellini, Bukowski, Neiwiller, Monroe ed altri. Processo chimico di abili artigiani. Successo vivo e condiviso. Creazione collettiva che, oltre alle fonti letterarie, utilizza una drammaturgia originata dai vissuti degli interpreti, tutti da lodare. Una proposta che non spiega e non descrive nulla, che usa tutto quello che serve per comunicare, che spinge lo spettatore alla ricerca continua di significati di rimbalzo. 
Villa Bellezza è luogo della metafora. Appare come una clinica per febbricitanti inguaribili, somiglia ad un dormitorio dove irrompono sogni e visioni, ricorda il giardino dove risuonano i passi di antiche e nuove divinità, rimanda allo spazio rituale dove è possibile compiere l’atto della ri-creazione, opposto e contrario a quello che tenta di doppiare la realtà. La bellezza corre il rischio di guastarsi? No, perché non c’è. La bellezza salverà il mondo? No, perché è morta e perché il mondo non ha alcuna intenzione di salvarla. Quindi, che deve fare la bellezza? Deve salvarsi da sola, passando alla clandestinità. Che fa, allora, quell’umanità febbricitante nella Villa Bellezza? Cura la salute, aspetta l’ora della guarigione, l’ora che tarda a venire, l’ora che non verrà mai. Cosa fa il potere fuori di quel luogo? Il potere non si pone problemi di etica, figuriamoci di estetica. E all’artista cosa rimane da fare? Diventare cieco e splendente come un Totò, e imparare il linguaggio degli uccelli. 

Mentre l’opera d’arte esiste nel suo divenire, attraverso il perfezionamento continuo dell’azione combinatoria dei segni e della distillazione della forma, fino all’esattezza finale, il diventare attiene alla dilatazione dell’anima. Da anima individuale diventa anima del mondo. Diventare pietra, diventare albero, imparare il linguaggio degli animali – come suggerisce la favola - non è una punizione, ma un’amplificazione dell’anima Gli artisti sono come gli uccelli, cantano. Se hanno una bella voce incantano, ma – volenti o nolenti – non contano nulla. Sono ininfluenti sia rispetto alla politica (dove hanno sempre fallito) che rispetto alla società (dove non incidono sui modelli di comportamento). Dunque, all’artista non resta che far cantare l’anima attraverso il corpo glorioso come unica bellezza possibile. ( Alfio Petrini ).
Share on Google Plus

0 commenti:

Posta un commento