Sacco



di Alfio Petrini - Roma - Gennaio 2005



Amnesia Vivace


On line mese di gennaio 2005 – www.amnesiavivace.com




"Sacco"
scritto e diretto da Remondi e Caporossi
interpretato da Armando Sanna e Pasquale Scalzi
Roma, Acquario, Festival Enzimi 2004


Non provo minimamente a spiegare Sacco. Spiegarlo vorrebbe dire sottoporlo al giudizio della ragione e portare acqua al mulino del dato cognitivo dominante. Su questo dato si regge non solo la prassi generalizzata del fare teatro, ma anche larga parte della danza contemporanea e delle arti visive, che pagano in tal senso uno scotto gravissimo in termini di credibilità. Ignorando la cultura duale, ignorano l’uomo totale, plurale e indivisibile. E finiscono per non amare e non possedere lo spettatore, che va a teatro per essere sorpreso e affascinato, non per ragionare o per imparare qualcosa dalla disamina dei casi della vita. 

L’autore (drammaturgo o regista che sia) mente quando spiega e descrive fatti, sentimenti e psicologie. Dice cioè cose false. Genera forme morte. Scivola sulla superficie del materiale e visibile, ignorando la parte nascosta dell’essere umano. E se è vero che la realtà non può essere doppiata, ma soltanto ricreata, il racconto delle cose non potrà che essere filtrato dal comportamento poetico dell’autore. Un’opera poetica, dato il suo valore sensibile e la sua capacità di estensione, più che compresa, va percepita. Più che spiegata, va sfiorata. Più che posseduta, va lasciata libera di creare nuvole inquiete. Sacco è frutto del comportamento poetico di due artisti che hanno acquisito giusta fama, ma – tra i loro spettacoli – questo, a distanza di alcuni anni dalla prima edizione, mi sembra meno dotato di durare nel tempo. 

La situazione dice di un seviziatore alle prese con un sacco. Da questo sacco esce segatura, un braccio, una gamba, una pallina, un animale, alla fine un uomo. E quest’uomo viene subito richiuso in un altro sacco. La drammaturgia di Remondi e Caporossi mette in preventivo il come di una scrittura scenica fondata soprattutto sull’uso di codici oggettuali (i variegati arnesi della tortura) e sui codici sonori (il rumore dei passi del carnefice e i suoni inarticolati della vittima). I significati diretti stanno in bocca ai comportamenti delle due figure opposte e contrarie, ma non mancano i rimandi, le allusioni e le atroci ambiguità, che dicono più di quanto si possa dire con le parole. Il lavoro intercodice privilegia la ricerca dell’invisibile e dell’impalpabile e in questa prospettiva l’assenza degli autori in scena si fa sentire, anche se i due giovani interpreti svolgono con precisione il compito affidatogli. Pasquale Scalzi ha la capacità non comune di far pensare il corpo e di creare la presenza sensibile necessaria, mentre il movimento del pensiero razionale del carnefice non giustifica la ritualità algida e inespressiva di Armando Sanna.

Sacco non ha la pretesa di rappresentare il mondo. Non si presenta come metafora della vita. Più modestamente e più efficacemente allude ad una insopprimibile pulsione di vita che abita l’uomo totale. La stessa, forse, che ha mosso l’indomabile desiderio e la pervicace resistenza degli autori, dopo la mancata concessione dei diritti per l’opera di Beckett che volevano mettere in scena. ( Alfio Petrini )
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