"Danze locuste" e "Kitsch Hamlet"




di Alfio Petrini,   "Hystrio", ottobre/dicembre 2004)






"Danze locuste" e "Kitsch Hamlet"
Alfio Petrini 
Hystrio, ottobre/dicembre 2004

La vecchia guardia vola, le nuove leve crollano. Nei giorni in cui meditavo sulla inciviltà perduta e non ritrovata del teatro contemporaneo, non potevo perdermi l’ultimo spettacolo – "Danze locuste" - dell’indomito Sambati, che apre un nuovo spazio teatrale: Campo Barbarico. 
Campo come luogo aperto, terra sottoposta all’assalto delle erbe selvatiche. Territorio delimitato, umbratile, limite esso stesso, soglia, luogo del canto del gallo e del favoloso possibile, regno di facoltà sovraumane e di silenzi riempiti da scalpitanti stagioni dell’uomo materiale e immateriale, indivisibile. Campo come luogo di passaggi e di attraversamenti incivili, di teneri amori e di selvagge trasformazioni, di vaporose nuvole generate da comportamenti poetici e di agoracrite presenze fisiche. Accampamento di barbari che riconoscono sapere e non-sapere. Dimora di corpi fragili e fosforescenti che accampano il diritto all’eresia, fuori dal baccano.
Quanti delitti sono stati commessi sotto la bandiera dell’impegno civile! La civiltà ha migliorato le condizioni di vita degli uomini, ma la descrizione dei civili pensieri e dei civili sentimenti mentre uccide il teatro, ne celebra il trionfo. Morto il re, viva il re. Moduli espressivi ripetitivi, stilemi coreografici, processi di astrazione, tecniche che producono dipendenza, forme senza sostanza o sostanze senza forma e senza poetica, metafisiche della luce, ingenui tentativi di doppiare la realtà e veli della superficie hanno come obiettivo finale quello di dire verità. Ma di verità si muore! E di civiltà si muore in teatro! L’uomo vuole vedere per credere. Lo spreco della ragione lo travolge e lo riduce a una radura desolata. Da qui, la nascita dei campi barbarici. Per levare la voce contro le false verità, libertà e divinità tecnologiche. Per indicare la strada del pensiero che si fa sangue e del sangue che si fa pensiero. Per praticare la carnalità dell’anima
Nel rettangolo buio del campo Barbarico di via Anicio Paolino nascono scintille di luce, sentieri luminosi per l’incerto viandante che danza, ossuto e leggero, come una cavalletta insensata e vulnerabile: "presenza inferma e sognante, fascinosa e tremenda". Si oppone alla morte o si oppone alla vita, l’inferma? "Deposito di trame", la piccola cosa si muove sempre sull’orlo dell’abisso. Perché le sue parole dicono l’indibile? Non bastano i suoi spasmi ad esprimere l’impalpabile e a rendere percepibile l’invisibile? Il corpo freme ed è punto di coagulo di variegati codici espressivi, ma il dire non sempre scaturisce dal fare: l’accompagna piuttosto. E lo scalpicciare ritmico che scaturisce dal pensiero della mente invece che dal pensiero del corpo si manifesta con gestualità minuta, fatta di segmenti, e non assurge mai a spazialità dell’oggetto, perché esclude il tronco e privilegia gli arti, inferiori e superiori. La performance d’attore di Sambati non è estrema come le precedenti "Lezioni delle tenebre", ma è pur tuttavia pregnante, eseguita con il pieno possesso dei mezzi espressivi e con l’impiego di alcune facoltà che determinano un valore aggiunto.

Saverio la Ruina con il suo "Kitsch Hamlet" confeziona un’opera drammaturgica che non offre alcuna possibilità di "tradimento" al regista, ponendo se stesso nella condizione di trasformare la parola scritta in parola parlata. E nel finale, per far capire che i fratelli di Amleto sono tre cadaveri viventi, fa scendere dalla soffitta tre bare, compiendo un atto supremo di descrittivismo. Scena Verticale, assieme ad altre "Compagnie degli anni ‘90", abbandona il terreno della ricerca e muove passi decisi verso il teatro mimetico, confermando i motivi dell’impoverimento del teatro, ridotto a logos della ragione e basta. In questo tentativo di doppiare la realtà per qualche "piazza" in più risiede sia l’impoverimento che la scivolata nella routine cui ho fatto cenno. Se il teatro d’innovazione non innova e il "terzo teatro" scimmiotta la tradizione immobile, cosa resta da fare? O temere che venga cancellato lo spazio residuale alla critica o sperare nel "quarto teatro". In questo caso però, bisogna vedere per credere.
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