L'affaire Gesualdo


di Vincenzo Sanfilippo - Teatro di Pagani - Pagani 2004







L’affaire Gesualdo di Antonio Vaccaro:

prima nazionale a Pagani con la regia di Raffaele Aufiero

Con questa piece messa in scena dal gruppo teatrale "La locandina" si è chiusa una straordinaria tre giorni culturale a Pagani che ha assistito nel suo momento clou alla partecipazione di Dominique Lapierre, autore de La città della gioia, vincitore del Premio Internazionale di Letteratura Religiosa indetto dall’Associazione ex Consiglieri Comunali di Pagani.

Con L’affaire Gesualdo abbiamo assistito ad un dramma storico, del quale troviamo utile occuparci, offrendo un riscontro ad accadimenti di notevole spessore culturale. Il testo di Antonio Vaccaro, che abbiamo avuto modo di leggere prima dello spettacolo, narra, con appropriata e tracimante scrittura scenica, le grifagne arringhe di un processo vessatorio riproposto tra la beffa e la tragedia con la perfidia di un linguaggio "barocco in senso forense" che sovrappone inganno ad inganno, l’inganno della tacitazione di un processo, che s’intuisce subito scontato, all’inganno ottico dell’apparenza fantasmatica "incarnato in uno spettro" che si manifesta come presenza inquietante. 

Il dramma ripercorre l’efferato duplice omicidio compiuto da Carlo Gesualdo Principe di Venosa nell’anno 1590 nelle stanze del Palazzo Sansevero a Napoli, scenicamente visualizzate da specchiere barocche concepite dallo scenografo non come arredo di un interno ma come ricreazione di un clima storico, di un’atmosfera psicologica tale da assumere un valore espressivo autonomo in funzione psichica. Vittime la moglie del Gesualdo Maria D’Avalos e il di lei amante, nobiluomo della famiglia Carafa. Ma il dramma al quale abbiamo assistito da compiaciuti spettatori non è stato quello che ci ha opposto la perdita di due vite umane per mano di sicari ingaggiati da un potente, quanto quello che ci ha svelato i complessi meccanismi della "giustizia" all’epoca del Viceregno. Come cioè questa giustizia riesce a far transitare l’episodio tragico non verso la colpevolezza di mandante ed esecutori quanto verso una legittimità dell’azione in conformità dell’applicazione di un codice garantista elaborato per sé dalla classe al potere.

Pertanto la regia di Raffaele Aufiero ha riproposto una lettura sobria e in linea con i canoni del realismo rappresentativo, senza nulla concedere ad un’elaborazione concettuale che pieghi personaggi e vicende verso interpretazioni di tipo surreale o espressionistico. Il processo è un affaire, cioè un imbroglio ai danni della giustizia stessa che lo ha proposto, e questo imbroglio perciò, mentore un Leonardo Sciascia disincantato e a volte crudele, è stato svelato nello spessore e nella valenza della sua "crudeltà" concependolo addirittura come protagonista della storia. Una storia della quale tutti gli altri personaggi non sono che coprotagonisti e comparse. Nessun "ad effetto" dunque ha sollecitato la fantasia della regia impegnata a cogliere la suggestione della parola che promana da questa inquietante vicenda, pura e spietata, vestita tuttavia degli abiti di riconoscibilità umana, di spessore psicologico, e nessuna indulgenza allo psicologismo interpretativo neppure da parte dei bravissimi attori (Rosaria Cuomo, Valeria De Pascale, Antonio De Vivo, Renato Giordano, Marco Pepe, Franco Pinto e Raffaele Tortora) che hanno saputo restituire un dramma tesissimo senza cedere alla suggestione del "bel recitare", contribuendo a riproporre non solo le suggestioni di un’epoca, ma anche i viluppi emotivi di una società al tempo stesso corrotta e corruttrice.


Vincenzo Sanfilippo

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